Il Trovatore di Verdi nuova produzione del Wiener Staatsoper —
Review by Natalia Di Bartolo © dibartolocritic —
Vienna, 5 febbraio 2017
Ci sono serate in cui un imponderabile quid di energia che non pare cosa di questa terra sembra convogliarsi tutto in un punto del globo. E’ accaduto a Vienna, dove il 5 febbraio 2017 è andato in scena Il Trovatore di Giuseppe Verdi in una nuova produzione del Wiener Staatsoper.
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Opera tremenda per difficoltà, per canoni da rispettare, per lo spessore che richiede alle voci, per l’importanza che riveste quale capolavoro nella produzione verdiana, per un miliardo di altri motivi su cui si potrebbero scrivere volumi, Il Trovatore. Ma quando si crea lo stato di grazia, è lì che i capolavori rivivono. A Vienna, è successo questo, in una serata decisamente fuori dall’ordinario.
Basta iniziare dalla direzione d’orchestra del M° Marco Armiliato: la perfezione. Non una sbavatura, non un cedimento, tempi serrati, polso fermo e volitivo, dinamiche italiane a tutto spiano, con una competenza veramente rara e con a disposizione un materiale egregio da plasmare in buca, con l’orchestra del Wiener Staatsoper, e da dirigere e supportare in scena.
Grandiosi il suono, la profondità, lo spessore, il rigore dell’intera esecuzione. Anche il volume: quando si hanno grandi voci sul palcoscenico, ci si può permettere di non frenare. Il tutto da manuale, a Vienna, dove, ultimamente, s’erano sentite direzioni poco attinenti a ciò che veniva eseguito. Una gioia per chi ascolta e per gli interpreti, che hanno goduto di un sostegno di questa potenza e autorevolezza.
E gli interpreti hanno dato il massimo. Un cast da capogiro, da edizione storica: una serata imperdibile per i melomani, gli appassionati ed anche i fans di quattro dei più grandi cantanti al momento sulle scene mondiali.
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Il Trovatore, Manrico, di Roberto Alagna è stato, come sempre, un meraviglioso rebus. Come possa una voce di questa limpidezza e qualità lirica impegnarsi nei ruoli eroici e uscirne vittoriosa resta un mistero, attribuibile solo alla grandezza dell’interprete. Per il tenore italo francese, dalla freschezza vocale meravigliosamente cristallina, dopo 30 anni di carriera ancora all’altezza di un Roméo o di un Werther, essere un Manrico autorevole e vincente è di per sé un portento.
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Il quarto atto, poi, che dà agio alla vocalità di Alagna di dispiegarsi più agevolmente e gli dà modo di dar corpo al personaggio anche scenicamente, è stato un unico brivido. Roberto Alagna sa fare della propria voce ciò che vuole, soprattutto modellarla sui sentimenti, in particolare nei momenti di massima tensione emotiva. E’ qui che viene fuori tutta la sua maestria: pieno centro non tanto nelle perigliose note della pira, pur risolte egregiamente, bensì in quell’”Infame!” cantato, ma quasi declamato, con un’inflessione che per chi scrive, sua conterranea in terra di Sicilia, risuona anche familiare e fa rabbrividire ancor più, di meraviglia. Chapeau alla professionalità sconfinata di questo magnifico artista.
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Passare a parlare di Anna Netrebko, Leonora, vista ed ascoltata accanto ad Alagna negli anni trascorsi in molte produzioni, è un rebus parimenti meraviglioso. Come abbia potuto il celebre soprano trasformare la propria vocalità, scurendola senza appesantirla, anche questo resta un mistero, decisamente glorioso.
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Magnifici i gravi, che si sente come l’artista stia curando sempre di più, voltasi a repertorio vocalmente più “pesante”; ottima la zona centrale, ma quel che è il meglio è il suo aver mantenuto la zona acuta, con filati raffinatissimi ed acuti di tutto rispetto anche come corposità. Ancora il tutto un po’ da amalgamare, in una vocalità pur sempre in evoluzione, con qualche incertezza nell’intonazione nei momenti in cui l’orchestra non è di sostegno, momenti difficilissimi, trappola infernale per molte Leonore. Per il resto, applausi a non finire, anche a scena aperta. Una potenza vocale, oltretutto, capace d’imporsi senza problemi e che volge a mietere altri allori in ruoli futuri.
Ludovic Tézier Conte di Luna? Una forza della Natura! Imbrigliare quella voce, non propriamente “verdiana”, anche perché adusa ad un repertorio variegato e multilingue, non è cosa facile. Un paio d’inciampi negli accenti letterario/musicali, ma voce grandissima, incontenibile, corposa ed autorevole. Recitazione adeguata, l’imporsi sul palco indiscutibile: grande Conte di Luna!
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Azucena, l’esperiente Luciana D’Intino, gran voce anche lei, proiezione che gareggiava adeguatamente con le potenze dei colleghi in scena: gravi profondi e scavati, acuti lievemente stimbrati ma nel complesso raffinata, credibile e scenicamente apprezzabile. Una Azucena di scuola italiana è l’Azucena ideale, di solito. Eccone una, infatti.
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Solitamente si parla poco di Ferrando, ma Jongmin Park, merita una menzione, così come la Ines di Simina Ivan. Adeguati gli altri interpreti. Allo stesso modo, il Coro del teatro austriaco ha brillato, sia pure dopo qualche esitazione al primo atto. Non è la prima volta che negli ultimi tempi lo si sente tendere a qualche fuori tempo e ci si augura che si tratti solo di intralci momentanei.
La messa in scena del regista Daniele Abbado trasponeva l’azione negli anni ’30 del secolo scorso, in una Spagna franchista di militari e partigiani. Déjà vu, in verità: non si sa (o, meglio, forse si immagina) perché quest’epoca ispiri tanto i registi di qualsivoglia opera, non solo di quella in questione. Ad ogni modo, le pistole non giovano a Il Trovatore, che è di sua natura epico e cavalleresco.
Però ben venga, comunque, una buona regia, animata, assai ben curata, contenuta nella ricca e articolata scenografia di Graziano Gregori, ravvivata dai costumi di Carla Teti e illuminata dalle luci di Alessandro Carletti.
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I dissensi del pubblico agli applausi finali non erano del tutto giustificati, visto che non si compivano eccessi. Anzi, il complesso dei movimenti scenici dei ribelli, dei militari, delle suore era ben studiato e molto ben seguito ed il posizionarsi degli interpreti a favore d’acustica era particolarmente accurato, perfino nel far cantare di spalle la Netrebko senza problemi, grazie agli accorgimenti previsti dalla scenografia.
Applausi finali da mandare in tilt gli orologi, oltre che le orecchie e le mani degli spettatori plaudenti e dei fans candidati all’afonia dopo le grida. Scandito e pienamente meritato un “bravissimo!” a Tézier, superlativo già di suo.
Una serata che è stata una vera gioia per le orecchie, per gli occhi, ma soprattutto per l’anima, all’altezza delle grandi produzioni che hanno sempre caratterizzato il meraviglioso teatro austriaco.
Natalia Di Bartolo © dibartolocritic
PHOTOS © WIENER STAATSOPER | Michael Pöhn
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